Mini pannelli solari in perovskite: passi avanti nel campo del fotovoltaico

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 A. Marino    30-09-2020     Leggi in PDF

Annalisa Bruno mostra i mini moduli solari in perovskite nel laboratorio dell’Energy Research Institute di Singapore. Foto per gentile concessione della NTU.

Nell'immaginario comune, o meglio dovremmo dire nella disinformazione comune, Einstein è stato premiato con il Nobel per i suoi studi sulla relatività. Pochissimi sanno che a essere premiati nel 1921 furono i suoi studi sull'effetto fotoelettrico, uno dei fenomeni più affascinanti dell'interazione radiazione-materia. In primis perché descrive un'interazione, ma anche per aver aperto la strada in poco meno di 100 anni a tantissime tecnologie che ne sfruttano i vantaggi. Tante di queste tecnologie vivono di decennio in decennio una rivisitazione, legata "semplicemente" ai passi in avanti che la comunità scientifica sta facendo nello studio e la sintesi di nuovi materiali.

I panelli fotovoltaici sono una di queste tecnologie: attualmente siamo alla terza generazione di fotovoltaico. La prima utilizzava come materiale semiconduttore il silicio, arrivando a un’efficienza di circa il 20%. La seconda utilizzava ancora il silicio, ma a film sottile, aumentandone la capacità di utilizzo. La terza generazione mira allo sviluppo di celle solari sempre più economiche e facilmente integrabili nelle architetture moderne. La svolta, in questo settore, è rappresentata dall'ingresso di materiali organici e ibridi (organici/inorganici): il silicio può essere infatti sostituito spesso da polimeri e "quantum dots" o loro combinazioni.

Lungo questa stessa linea, negli ultimi anni l’interesse della comunità scientifica si è focalizzato su un nuovo tipo di materiale, le perovskiti ibride. Questi materiali hanno consentito di realizzare celle solari molto sottili, che hanno raggiunto in pochissimi anni effcienze di conversione paragonabili a quelle del silicio, con ridotti costi di produzione ma con dimensioni più piccole di 1 cm2. Per vedere queste celle solari sui nostri palazzi o alle nostre fermate di autobus, la grande sfida della comunità scientifica è realizzare celle altrettanto efficienti ma su grandi aree, almeno paragonabili a quelle del silicio.

In questo contesto scientifico, spicca l'articolo della Nanyang Technological University (NTU) di Singapore pubblicato ad aprile di questo anno come copertina sulla rivista Joule. Il gruppo di ricerca della dottoressa Annalisa Bruno ha infatti realizzato mini moduli fotovoltaici basati su perovskiti arrivando a un'efficienza record al di sopra del 18%, per area intorno ai 20 cm2. Annalisa Bruno, attualmente ricercatrice senior e team leader presso l'Energy Research Institute della NTU, ha iniziato la sua carriera all'Università degli Studi di Napoli Federico II, che è poi proseguita presso l'Imperial College London e successivamente presso l'Enea di Portici. A Singapore, Annalisa Bruno guida il team di ricerca che si occupa proprio dello sviluppo di celle solari a base di perovskite, e della loro integrazione con celle solari a base di silicio.

Una breve intervista ad Annalisa si trasforma in un'interessante lezione su questi materiali. I vantaggi delle perovskiti sono molteplici. Innanzitutto, mi spiega, il processo di fabbricazione è economico e semplice, in quanto non richede le alte temperature tipicamente necessarie per la produzione delle celle di silicio. Le perovskiti, avendo un alto coefficiente di assorbimento, consentono di realizzare celle solari molto più sottili e di conseguenza molto leggere. Queste celle sono quindi facilmente integrabili in diversi contesti architettonici che non sono accessibili alle più pesanti celle di silicio. Inoltre, le celle di perovskite possono anche essere trasparenti e colorate, come ha anche dimostrato il gruppo di ricerca di Annalisa Bruno nello stesso lavoro, rendendole accattivanti per l’utilizzo integrato in finestre, cancelli e simili.

Infine, mi fa notare Annalisa, le celle solari di perosvkite sono spettralmente complementari a quelle a base di silicio: le perovskiti assorbono molto efficientemente la luce ultravioletta mentre il silicio ha ottime prestazioni nel vicino infrarosso. Questo fa sì che si possano progettare celle solari 'tandem', in cui i due materiali insieme massimizzino l’uso dello spettro solare.

Alla classica domanda sui tempi di trasferimento dalla ricerca al processo industriale, Annalisa non ha dubbi: il lavoro della NTU ha per la prima volta mostrato che è possibile realizzare mini pannelli di perovskiti con le stesse tecniche di fabbricazione degli OLED che utilizziamo per le nostre televisioni e per gli schermi dei nostri telefoni cellulari. Questo ha accorciato i tempi, rendendo la produzione a livello industriale e l’immissione sul mercato possibile in un arco di tempo di cinque anni.

Chiedo infine ad Annalisa se a suo avviso l'Italia stia facendo investimenti adeguati a facilitare la diffusione del solare: "In Italia la ricerca sulle perovskiti va a gonfie vele. Ci sono gruppi leader mondiali in questa area di ricerca. Spero di vedere nei prossimi anni un supporto adeguato per portare queste celle a essere competitive sul mercato".

E così, a quasi cento anni dal premio Nobel di Einstein, l'effetto fotoelettrico continua a produrre tecnologia sempre più sorprendente.

Homepage: Moduli solari colorati in perovskite. Foto per gentile concessione di Wang Hao.