Quando l'oro è utile per rivelare il SARS-CoV-2

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 R. Velotta    30-10-2020     Leggi in PDF
Le nanoparticelle d'oro sono funzionalizzate con anticorpi che riconoscono tre diverse proteine di superficie di SARS-CoV-2: "spike" (rosso), di involucro (grigio) e di membrana (blu). Legandosi alla superficie del virus, le nanoparticelle formano un guscio sferico d'oro che ha un picco di assorbimento spostato verso il rosso, da cui il cambiamento di colore della soluzione colloidale in presenza delle particelle virali.

Le attività indispensabili per contrastare la pandemia COVID-19 includono non solo la ricerca di un vaccino o la messa a punto di una terapia farmacologica efficace, ma principalmente la capacità di diagnosticare accuratamente e nel minor tempo possibile i soggetti positivi al virus, individuando e isolando i cosiddetti "asintomatici", ovvero persone che pur non presentando sintomi da COVID-19 possono essere comunque in grado di infettare gli altri. Al momento, la metodica gold standard è rappresentata dall’analisi molecolare del tampone naso-faringeo mediante la reazione a catena della polimerasi in tempo reale ("real-time PCR"). Questa tecnica è certamente molto sensibile e specifica, ma richiede una sofisticata strumentazione di laboratorio e personale esperto per poter essere applicata; tutto ciò comporta attese per il risultato dell’esito che in molti casi possono superare anche diversi giorni. Da qui l’enorme importanza che potrebbero assumere i cosiddetti "test rapidi" o "Point of Care Test" (POCT) per la ricerca dell’antigene, dispositivi capaci di fornire risposte in pochi minuti dal prelievo senza il ricorso al laboratorio. La tecnologia alla base della quasi totalità dei test rapidi attualmente proposti, usata per esempio anche nei test di gravidanza, si basa sul saggio a flusso laterale ("lateral flow assay"). Tuttavia, questa tecnica soffre di una sensibilità relativamente bassa e la sua applicazione all’identificazione di soggetti affetti da COVID-19 è oggetto di discussione.

A fine settembre, sulla rivista ACS Sensor è stato pubblicato un articolo che riporta la realizzazione di un biosensore colorimetrico capace di rivelare la presenza di SARS-CoV-2 in tamponi nasofaringei con un limite di rivelazione molto prossimo a quello della PCR in tempo reale. Una verifica delle sue prestazioni su 94 campioni (45 positivi e 49 negativi) ha dimostrato una sensibilità e specificità superiori al 95%. Il biosensore si basa su una soluzione colloidale di nanoparticelle d’oro (20 nm di diametro) sulle quali, mediante una tecnica fotochimica messa a punto qualche anno fa presso il Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini” dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, sono legati anticorpi che riconoscono le proteine di superficie (spike, involucro e membrana) della particella virale. Mescolando piccoli volumi (dell’ordine di qualche centinaio di microlitri) di questa soluzione colloidale con quella nella quale è stato immerso il tampone, si ottiene una nuova soluzione nella quale l’eventuale presenza del virione provoca l'aggregazione delle nanoparticelle. In altri termini, le nanoparticelle "aggrediscono" la particella virale formando una corona sferica d’oro sulla sua superficie. Poiché in questa configurazione le nanoparticelle sono molto vicine tra loro, si ha uno spostamento del picco di assorbimento della radiazione elettromagnetica che dà luogo a un cambio di colore della soluzione. Il fenomeno può essere facilmente rivelato da un colorimetro o, nei casi di alta carica virale, addirittura a occhio nudo.

Il metodo sviluppato consente di rilevare anche basse cariche virali proponendosi come valida alternativa ai test molecolari. Technogenetics, azienda del colosso cinese KHB sta attualmente adottando questa tecnologia per produrre kit diagnostici da utilizzare su larga scala in tutte quelle circostanze, come aeroporti, scuole, aziende e altre comunità, dove è fondamentale fare rapidamente un elevato numero di test. Parallelamente sono in corso le attività di ricerca per poter estendere l'utilizzo del kit anche su campioni di saliva.


Raffaele Velotta è professore ordinario di fisica applicata al dipartimento di fisica "Ettore Pancini" dell'Università di Napoli "Federico II". Nel suo gruppo è stata messa a punto una tecnica fotochimica di funzionalizzazione delle superfici, che consente di legare anticorpi orientati su superfici metalliche, con importanti applicazioni nella biosensoristica.