Rapporto AlmaLaurea: la sfida viene adesso

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 S. De Pasquale    28-07-2021     Leggi in PDF

È una rappresentazione cruda e, a tratti, preoccupante, quella che emerge dal Rapporto 2021 di Almalaurea su Profilo e Condizione Occupazionale dei Laureati Italiani, giunto alla sua XXIII edizione.

Il Rapporto, presentato il 18 giungo 2021 all’Università di Bergamo, è di grande importanza per il sistema universitario italiano e ricostruisce il profilo e le caratteristiche dei laureati di 76 atenei del nostro paese, nei quali si laureano oltre il 90% dei nostri studenti, prendendo in esame un campione di 291 000 laureati nel 2020. Allo stesso tempo descrive la condizione occupazionale su un campione di 655 000 laureati degli stessi atenei, analizzando i risultati raggiunti nei mercati del lavoro in Italia, Europa e resto del mondo, per i laureati a 1, 3 e 5 anni dal conseguimento del titolo.

Il rapporto non poteva che rendere evidente la profonda ferita che la pandemia ha inferto al sistema dell’istruzione superiore, condizionato dalla didattica a distanza (cui è stato dedicato un focus) e rivela già i primi effetti sull’occupazione, soprattutto per i neolaureati, le donne e i giovani provenienti dal sud. “Non ci si potrà illudere che tutto tornerà come prima, la cesura della pandemia ha segnato un prima e un dopo che dobbiamo costruire”, ha dichiarato il Presidente di AlmaLaurea Ivano Dionigi. L’università italiana sembra aver retto all'onda d'urto della crisi, ma la vera sfida parte adesso.

Veniamo, dunque, al dato particolarmente rilevante relativo al tasso di occupazione. A distanza di un anno dalla laurea gli occupati con la laurea di I livello sono il 69,2%, mentre per i laureati di II livello il dato è pari a 68,1%. Questo si traduce in una diminuzione, rispetto al 2019, di quasi 5 punti percentuali per i primi e di 3,6 punti percentuali per i secondi. I dati sul tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea riportano valori di 88,1% e 87,7% rispettivamente per i laureati di I e di II livello, con una diminuzione di 0,6 punti percentuali per i laureati di I livello e un aumento di quasi un punto percentuale per quelli di II livello. Chi si è laureato nel 2019 ha subito, dunque, gli effetti più gravi della congiuntura. Si pensi che se si escludono dal campione i laureati del settore medico-sanitario e farmaceutico le diminuzioni assumono toni ancora più marcati.

Nel presentare i dati in forma sintetica, il Direttore di AlmaLaurea, Marina Timoteo, ha focalizzato l’attenzione su alcuni punti nodali che evidenziano difficoltà storiche del nostro sistema dell’alta formazione: 1) laureate e laureati come popolazioni separate e ancora troppo diseguali; 2) laureate e laureati come parte sottodimensionata della popolazione del nostro paese; 3) l’università e la sua apertura al mondo; 4) il superamento dei divari e delle separazioni a livello sociale, culturale, disciplinare.

Lo studio mette in rilievo la distribuzione di genere dei laureati, che in maggioranza è rappresentata da donne: 58,3% al I livello, 56,4% per il II livello, 66,1% nelle lauree a ciclo unico, con una media complessiva di 58,7% di donne laureate. Se si considerano i settori medico-sanitario e farmaceutico, questi dati rimarcano ancora di più la distanza con 74,4%, 65,2% e 60,7% rispettivamente per I livello, II livello e ciclo unico, con una media complessiva del 67,7% di donne laureate. Le donne si rivelano inoltre più regolari negli studi e fanno più tirocini. Tuttavia, per le donne la probabilità di trovare lavoro è più scarsa rispetto agli uomini. A parità di condizioni gli uomini hanno circa il 17,8% in più di possibilità di essere occupati, hanno in media 89€ in più in busta paga e hanno sofferto meno delle donne gli effetti della pandemia. Infatti, nel confronto dei dati 2019 con quelli 2020, si riscontra una diminuzione del tasso di occupazione del 8,8% nelle donne e del 7,2% negli uomini (dati su laureati di I livello, escluso il gruppo medico-sanitario). Apparentemente in controtendenza appare il dato dei laureati STEM, dove le donne sono tradizionalmente svantaggiate. In questo gruppo, infatti, il calo del tasso di occupazione sul II livello è più alto per gli uomini rispetto alle donne.

I laureati sono tuttavia ancora una parte troppo piccola della popolazione del nostro paese. La percentuale di laureati nella popolazione tra i 30 e i 34 anni, ripartiti per residenza, è del 31,3% al nord, del 32% al centro e del 21,2% al sud con una media sul territorio nazionale del 27,8%. I laureati hanno però maggiori possibilità di ottenere un’occupazione. Laurearsi conviene. Il valore aggiunto della laurea è ancora molto elevato. Il tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni è, per i laureati, di ben 13 punti percentuali più alta rispetto a chi ha un diploma: 78,0% contro 65,1%. Se si pensa alla retribuzione questa è di quasi il 40% più alta rispetto ad un diplomato (popolazione tra i 25 e i 64 anni). Ma i laureati sono, in assoluto, troppo pochi (siamo al penultimo posto in Europa, appena prima della Romania). Il nostro è un ritardo storico. Come ha evidenziato Marina Timoteo durante la sua presentazione, “L’Italia è un paese a sviluppo economico tardivo e il ritardo del suo sistema formativo è un fenomeno con radici assai profonde, che si proietta sull’oggi con tutto il peso di una storia lunga fatta di questioni irrisolte, delle quali c’è conoscenza ma forse poca coscienza”.

C’è un aspetto estremamente importante che emerge dai dati e riguarda la cosiddetta “path dependence”, la dipendenza dal percorso. Questo è condizionato principalmente dal contesto familiare che risulta avere ancora un peso molto rilevante nelle scelte formative in campo universitario e nei percorsi professionali. La percentuale di coloro che proseguono gli studi con un corso di II livello è del 74,0% per coloro che hanno almeno un genitore laureato, mentre questo dato cala al 58,7 % per i figli di genitori con al più un titolo di licenza media (dati 2019). Ancora, la percentuale degli studenti che hanno svolto un’esperienza di studio all’estero è del 17,8% per studenti con entrambi i genitori laureati, mentre è solo dell’8,0% per chi ha genitori con al più il titolo di licenza media. Tra l’altro chi ha fatto tali esperienze ha più chance di trovare lavoro perché queste hanno un grande peso sulla formazione. Chi le ha fatte ha il 14% in più di possibilità di trovare un’occupazione.

Dai dati emerge quindi che chi proviene da contesti svantaggiati sceglie percorsi di laurea più brevi e studia per meno anni. L’università fotografa l’accentuarsi delle diseguaglianze e l’ascensore sociale sembra essersi bloccato. È, ad esempio, molto elevato il numero di coloro che hanno conseguito il titolo nel gruppo disciplinare di almeno uno dei genitori: 16,4% per il I livello, 17,5% per il II livello. Questo dato, già interessante, raggiunge valori pari al 35,5% per le magistrali a ciclo unico (libere professioni) e arriva a picchi del 39,3% nel settore medico e farmaceutico e al 38,7% nel settore giuridico. Nel totale dei laureati è, in media, del 20,1%. (laureati 2020). Il dato Almalaurea conferma come ancora in Italia il mondo delle libere professioni sia ampiamente appannaggio di chi proviene da contesti familiari in cui si svolge la libera professione. Per esempio, a cinque anni dal titolo, tra i laureati in odontoiatria ben il 41,6 % ha il padre dentista e tra i laureati in giurisprudenza il 22,8% ha un padre avvocato. In Italia la libera professione è prevalentemente ereditaria. Secondo dati Unioncamere, tra i figli di imprenditori i laureati fondatori di impresa sono il 16,8%, l’8,9% proviene da genitori liberi professionisti, il 6,5% da genitori dirigenti e solo poco meno del 5% da genitori impiegati o operai. È importante, dunque, agire per inculcare una diversa cultura dell’imprenditorialità.

Veniamo al dato della mobilità dei nostri laureati verso l’estero. Il dato cresce ma in maniera molto contenuta ed è passata dal 8,7% all’11,3 % in dieci anni. I laureati di I livello sono meno coinvolti nelle esperienze all’estero. Queste sono più frequenti nell’area linguistica mentre per il totale è in media di circa il 15%. Troppo pochi sono i cittadini stranieri che si laureano nelle università italiane. Si riscontra che, nella grande maggioranza, coloro che si laureano sono cittadini italiani o cittadini stranieri ma con diploma conseguito in Italia. Di fatto solo il 2,3% dei laureati in Italia hanno conseguito un diploma all’estero. Il leggero aumento degli stranieri laureati in Italia, riscontrato nei dati, è dovuto sostanzialmente a stranieri immigrati e diplomati in Italia.

Infine, le valutazioni sul percorso di studi da parte dei giovani sono comunque molto chiare. I laureati manifestano complessivamente soddisfazione per il corso di laurea, per il rapporto con i docenti e per i servizi di biblioteca. Tuttavia, anche se soddisfatti dell’esperienza della didattica a distanza, chiedono, a vasta maggioranza e con forza, di tornare alla didattica in presenza.


Salvatore De Pasquale – Professore di Fisica Sperimentale al Dipartimento di Fisica dell’Università di Salerno, ne è il direttore dal gennaio 2019. Della stessa università è stato consigliere di amministrazione ed è, attualmente, senatore accademico. Membro del Consiglio di Presidenza della Società Italiana di Fisica dal 2011 ricopre, dal gennaio 2020, il ruolo di segretario cassiere. Incaricato di ricerca dell’INFN, ha lavorato prevalentemente nel campo della fisica delle particelle elementari, partecipando a grandi collaborazioni internazionali al CERN, DESY e LNGS. Attualmente lavora all’esperimento ALICE a LHC del CERN e all’esperimento DarkSide ai LNGS dell’INFN. Nel 2020 ha coordinato il gruppo di lavoro nominato dal MUR per la redazione del Programma Nazionale della Ricerca (PNR) 2021-2027 per il grande ambito di ricerca e innovazione delle “Tecnologie Quantistiche”.