La corsa verso il vantaggio quantistico

Con il termine "vantaggio quantistico" si intende la dimostrazione sperimentale che un dispositivo quantistico (quale un simulatore o un computer) riesce a svolgere un compito che non è alla portata di nessun dispositivo classico.
Come tutti i criteri, anche questo si basa sul buon senso, su una buona dose di ragionevolezza e soprattutto su definizioni condivise. Per esempio, quando si dice che il compito ("task") non è alla portata di un dispositivo classico, si sottintende "nell’arco della vita dell'Universo". E magari, aggiungiamo noi più prosaicamente, entro un centinaio di anni, altrimenti chi concepisce il dispositivo non è in grado di vedere se il "vantaggio" è stato raggiunto (e potrebbe perdere interesse nel continuare l'esperimento).
Per molti versi, un esempio simile è il test di Turing. Alan Turing suggerì nel 1950 che un buon criterio per stabilire se un computer è intelligente è che un essere umano non si accorga se il proprio interlocutore è un computer oppure un altro essere umano. Quando questo succederà avremo a che fare con un computer dotato di qualche forma di intelligenza (qualsiasi cosa questo voglia dire).
Questi criteri sono tecnici, e pertanto particolarmente efficaci, perché ci svincolano dal dover introdurre concetti filosoficamente più complessi, quale quello di definire l'intelligenza. Hanno anche il grande pregio di evitare discussioni, perché quando verrà ottenuto il vantaggio quantistico la stragrande maggioranza degli scienziati sarà d’accordo nel riconoscere che l'obiettivo è stato raggiunto. Di fatto, si tratta di una gara: quando il dispositivo quantistico avrà operato molto più velocemente di qualsiasi dispositivo classico, il "vantaggio" sarà stato raggiunto, e il dispositivo quantistico avrà vinto.
Lo scorso novembre, l'IBM ha annunciato di aver realizzato un dispositivo quantistico che consiste di 127 qubits, superando la soglia psicologica dei 100 qubits. A differenza di quelli classici, i dispositivi quantistici funzionano con una efficienza esponenziale nel numero di qubit, e 2127 = 1038 è certamente un buon numero. Purtroppo, a differenza dei bit classici, i qubit hanno bisogno di funzionare in modo coerente, cioè all’unisono, e la decoerenza è uno dei problemi più difficili da contrastare. In pratica quindi, i 127 qubit IBM funzionano bene per un tempo brevissimo, altrimenti fanno errori, oppure funzionano semplicemente come 127 bit classici, che non sono poi così interessanti.
Aspettiamo con curiosità, ma anche armati di pazienza, che l'IBM ci comunichi più dettagli, cosa che certamente avverrà entro pochi mesi. La macchina IBM è con tutta probabilità un buon simulatore, cioè un computer in grado di risolvere problemi ben selezionati. Un buon simulatore necessita di un buon "task", che consenta di valutarne capacità ed efficienza, un po’ come i primi computer ad architettura parallela (in Italia siamo stati pionieri in questo campo) erano disegnati per affrontare alcuni problemi, ben definiti ed utili soprattutto alla ricerca di punta. I pochi simulatori quantistici sinora realizzati hanno funzionato bene, svolgendo compiti selezionati molto accuratamente. Con un po' di malizia si potrebbe dire che fino ad ora è stato il simulatore a selezionarsi il compito, e non viceversa.
Aspettiamo quindi di vedere quali "tasks" il dispositivo IBM sarà in grado di svolgere. Lo farà certamente con efficienza impareggiabile, e cioè meglio di qualsiasi computer (classico) esistente. Poi la comunità scientifica valuterà se il "vantaggio" è stato raggiunto. Bisognerà probabilmente attendere ancora un po' perché si arrivi ad affrontare problemi utili alla comunità scientifica.
Saverio Pascazio – Fisico teorico, è professore presso l'Università di Bari e si occupa di fisica quantistica, fenomeni complessi e complessità quantistica.