Scienziati ai fornelli per insegnare la fisica

Il 26 gennaio scorso, nell'ambito del progetto "I Lincei per una nuova didattica nella scuola: una rete nazionale" e all'interno del corso "Scienza dell'alimentazione: multidisciplinarità o interdisciplinarità", i due fisici milanesi Marina Carpineti e Nicola Ludwig hanno tenuto a insegnanti di Trieste un pomeriggio di lezione su "Fisica e Cucina".
Come dimostra l'interesse di un'istituzione prestigiosa come l'Accademia dei Lincei, impegnata nella promozione e nella diffusione delle conoscenze scientifiche, sempre più spesso fisica e cucina vengono accomunate in pubblicazioni, corsi, libri, eventi didattici o divulgativi. Già nel 1992 il Centro Ettore Majorana di Erice organizzò un pionieristico workshop su "Molecular and Physical Gastronomy", poi ripetuto 5 volte nei 12 anni successivi, che radunava illustri chef e scienziati (tra cui il Premio Nobel Pierre-Gilles de Gennes, nella prima edizione) per discutere sulle preparazioni tradizionali in cucina, su come funzionano e su come avrebbero potuto essere migliorate dalla comprensione della fisica e della chimica di base coinvolte. Dal 2010 anche la prestigiosa Università di Harvard, con una collaborazione tra fisici, chimici e chef stellati, ha avviato il corso universitario interdisciplinare "Science and Cooking" e successivamente un suo corrispettivo rivolto al pubblico generico.
Ma cos'hanno in comune la fisica e la cucina? Spesso si usa dire "parla come mangi" per invitare qualcuno a esprimersi in modo comprensibile, proprio perché mangiare è un gesto quotidiano che conosciamo benissimo. Ed è da qui che senz’altro viene l'idea di usare proprio il cibo come spunto per introdurre temi scientifici anche ostici: la familiarità con il cibo permette di vincere la diffidenza degli ascoltatori verso una materia troppo spesso percepita come distante e, sorprendentemente, il piatto può diventare un trampolino da cui lo sguardo può sollevarsi e spingersi lontano.
Crediti: Alessandro Dalla Pozza e Roberto Marchetto.
Molti, infatti, sono i temi che possono trarre vantaggio da un approccio alla fisica che parta dal cibo. Inoltre, la curiosità per temi così "golosi" è il motore ideale per utilizzare un metodo "inquiry based", in cui l'apprendimento parte dalle domande che nascono spontaneamente dagli studenti.
Naturalmente si può parlare di trasporto del calore, di conduzione, convezione e irraggiamento, ma anche di transizioni di fase, notando che con la cottura i cibi cambiano consistenza. Inoltre, proprio le consistenze dei cibi, non facilmente catalogabili come liquidi o solidi, offrono la possibilità di introdurre temi cari alla "soft matter". Partendo da budini, panna montata, maionese o formaggi, si può parlare di gel, schiume ed emulsioni, così come di fenomeni di aggregazione. Ci sono poi le tecniche, dal forno a microonde ai fornelli a induzione, dalla pentola a pressione al distillatore, la cui comprensione passa necessariamente dalla fisica.
Perfino l'ottica può essere introdotta a partire dai cibi: per esempio, chiedendosi come mai durante la cottura l'albume dell'uovo da trasparente diventa bianco, si potrà arrivare a parlare di diffusione della luce e della sua intensità che aumenta con le dimensioni dei diffusori.
Si tratta solo di alcune tra le innumerevoli tematiche di fisica che si possono avvicinare a partire dall'esperienza quotidiana dello stare a tavola, e che da alcuni anni i due fisici milanesi presentano con esperimenti ed esempi in incontri rivolti al pubblico generico o in veri e propri percorsi didattici e di formazione.
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