Galileo Galilei e una poesia dimenticata sulla supernova del 1604

La sera del 9 ottobre 1604, mentre appassionati di tutto il mondo osservavano una rara congiunzione tra Marte, Giove e Saturno, piena di implicazioni astrologiche, apparve una "stella nuova", luminosissima. Rimase lì per un anno e mezzo e poi scomparve. Scienziati con diverse concezioni dell'Universo tentarono di spiegare il fenomeno: Galilei, Keplero, ma anche astronomi cinesi, coreani e arabi. Oggi sappiamo che era una supernova, l'ultima delle sette osservate a occhio nudo nella Galassia: non una stella nuova, ma una che muore ed esplode.
Quella sfera pulsante aveva meravigliato, terrorizzato e incuriosito. Galilei, professore di matematica e astronomia a Padova, ricevette molte domande alle quali rispose, a novembre con tre conferenze pubbliche nell'Aula Magna del Bo, sede centrale dell'università, testimoniate da frammenti dei suoi appunti. Dimostrò, attraverso il metodo della parallasse (lo spostamento apparente a causa del punto di vista dell'osservatore), che la nuova stella si trovava oltre la Luna, nel Cielo che secondo Aristotele era immutabile.
Un mese dopo apparve a Padova il trattatello "Discorso intorno alla Nuova Stella". Antonio Lorenzini, dando voce ai i filosofi naturali di Padova, affermava che guardare le stelle per misurarne la distanza non serve a nulla: i principi della fisica non si applicano al Cielo. La risposta fu rapidissima: a febbraio 1605 fu pubblicato sempre a Padova il "Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova – Con alcune ottave d'Incerto, per la medesima Stella, contra Aristotele", come riferisce Antonio Favaro nell’edizione nazionale delle opere di Galilei, da lui curata a cavallo del 1900, nella quale incluse solo il "Dialogo" e non le "ottave". Il volumetto figura oggi, completo, nella biblioteca digitale del Museo Galileo di Firenze.
Il "Dialogo" è un dileggio degli argomenti di Lorenzini e un attacco al dogma aristotelico, scritto in dialetto padovano, il pavano, probabilmente per scherno. Due contadini di Brugine, sobborgo padovano, spiegano la parallasse e sostengono l'opportunità di affidarsi, quando si tratta di scienza, a scienziati e non a filosofi. Mentre l'ispirazione galileiana è evidente, chi ne sia stato l’autore è dibattuto. Molti ritengono che fu Girolamo Spinelli, studente di Galilei, che a differenza di Galilei padroneggiava il pavano a sufficienza per comporre l'opera. A parere di chi dà maggior credito a Galilei come coautore, Spinelli potrebbe essersi limitato a tradurre dall'italiano al pavano. Le "ottave" o "stanze d'Incerto" che compaiono come appendice al "Dialogo" sono in italiano, ma anche di queste, al di là della sostanza galileiana, chi sia l'autore (o gli autori) è ancora oggetto di studi di storici e filologi.
Questa la strofa iniziale: a voi di giudicare chi possa averla scritta!
Che più vaneggi, o Stagirita stolto:
e puro il Cielo e ingenerabil credi?
Stella nuova, in lui fissa, il chiaro volto
discopre scintillando, e non la vedi?
O più che mai ne' primi errori involto
il senso neghi ed altre prove chiedi?
Il senso neghi, onde i principii certi
dicesti avere de le scienze aperti ?
Ciò che resta della supernova del 1604, in un'immagine a diverse lunghezze d'onda di grandi telescopi della NASA. A 16 000 anni luce di distanza dalla Terra, il resto della supernova ha un raggio di circa 10 anni luce, 700mila volte la distanza tra la Terra e il Sole.
Il resto della supernova del 1604 è ancora oggi un oggetto interessante e misterioso; recentemente si è visto che è un emettitore di raggi gamma. Le osservazioni del '600 indicano che si trattava di una supernova di tipo Ia, il risultato del collasso di un sistema binario di stelle, ma la nube proiettata dall'esplosione si sta espandendo a velocità troppo alta, in alcuni punti un trentesimo della velocità della luce. Questo ci turba molto: gran parte delle conoscenze sull'espansione dell'Universo si basa sul fatto che le supernove Ia siano "candele standardizzabili". Potrebbe quindi riservare grandi sorprese, come ai nostri illustri predecessori di quattrocento anni fa.
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