Aldrovandi e i “mostri celesti”

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 E. Bertozzi, L. Fabbri, P. Focardi    28-07-2022     Leggi in PDF

In occasione dei cinquecento anni dalla nascita, l’Università di Bologna ricorda Ulisse Aldrovandi, naturalista, medico, geologo, fisico, ma anche antiquario, etnografo e collezionista. Uno spirito curioso che ha lasciato alla città e all’Università un gran numero di manoscritti, appunti, lettere: un vero tesoro d’informazioni.

All’interno di un’ampia dimensione europea segnata dalla nascita della nuova scienza sperimentale e dal suo nuovo linguaggio, Ulisse Aldrovandi allestisce la grande officina di studio del mondo naturale. Tale impresa – per la quale viene indicato come il fondatore delle scienze naturali – si articola attorno a due nuclei particolarmente significativi: la comunicazione scientifica e la definizione del metodo.   Il “microcosmo di Natura” – ovvero la collezione di 12.000 oggetti tramite i quali esplorare il mondo – viene fatto ritrarre da Aldrovandi in splendidi acquerelli e matrici xilografiche, al fine di creare una enciclopedia in 13 volumi – “Aldrovandi Historia Naturalis” – dove l’illustrazione assume un ruolo epistemico e diviene illustrazione scientifica portatrice di dati. Allo stesso tempo, Aldrovandi introduce criteri e categorie per la comprensione e classificazione del “microcosmo”: macro-criteri, come l’appartenenza dei reperti ai regni minerale, vegetale e animale, o micro-criteri, come la distinzione in scheletro osseo e cartilagineo. Scienziato in un’epoca di transizione dominata dal fascino delle scoperte geografiche, Aldrovandi cataloga reale e immaginario, attingendo anche a bestiari della sua epoca, così come ai racconti dei viaggiatori.

In perfetta sintonia con una tendenza molto diffusa all’epoca, Aldrovandi dedicò un’intera opera, la “Monstrorum Historia”, alla descrizione accurata di quanto appare bizzarro e difforme, ma mentre i suoi contemporanei si limitarono alle creature animalesche o umane, egli si spinse oltre. Le ultime pagine della “Monstrorum Historia” sono, infatti, dedicate ai mostri celesti, ossia a quei fenomeni che non trovavano giustificazione all’interno dell’aristotelismo che dominava ancora la cultura scientifica dell’epoca. Sono pagine che contengono descrizioni accuratissime di comete, di aurore boreali e di fenomeni come il parelio che, per effetto della rifrazione, produce immagini multiple del Sole, unite anche alla descrizione del panico che questi eventi inspiegabili scatenavano evidentemente sugli spettatori.

Perché mai Aldrovandi levò gli occhi verso il cielo alla ricerca dei mostri celesti? La risposta non l’avremo mai, ma è molto plausibile che il passaggio della cometa di Halley avvenuto nel 1531, quando era ancora bambino, abbia acceso la sua curiosità e che l’apparizione della “stella Nova” del 1572, oggi nota come la Supernova di Tycho, non abbia fatto che aumentare il suo interesse verso il cielo. Sarebbe stato proprio Tycho Brahe in quegli anni a dimostrare, dati alla mano, che le comete e le stelle Novae erano fenomeni celesti e non atmosferici come l’opinione scientifica dominante voleva, essendo la loro variabilità incompatibile con la perfezione dei moti celesti.

Aldrovandi visse dunque in un periodo molto importante per la Fisica e per l’Astronomia, un’epoca che preludeva al progressivo e non facile abbandono del modello aristotelico e del geocentrismo, per abbracciare quello eliocentrista che aveva visto la luce proprio negli anni della sua giovinezza, nel 1543, con la pubblicazione del "De Revolutionibus Orbium Coelestium" di Copernico. Curioso e attento com’era, doveva essere a conoscenza di tutto ciò e probabilmente fu anche questa la ragione per cui egli levò gli occhi al cielo alla ricerca di quelli che, lungi dall’essere dei mostri, erano invece delle solide evidenze sperimentali, a sostegno di un nuovo modo di interpretare la natura.

Parte della collezione Aldrovandi è visitabile presso il Museo di Palazzo Poggi di Bologna.


Eugenio Bertozzi – Ricercatore senior in storia della fisica e referente scientifico della Collezione di Fisica presso il Sistema Museale dell'Università di Bologna, ha svolto attività di ricerca presso l'Università di Flensburgo e il Deutsches Museum di Monaco di Baviera. È stato coordinatore scientifico delle celebrazioni per il centenario dalla scomparsa di Augusto Righi nel 2020.

Laura Fabbri – Professoressa associata dell’Università di Bologna, svolge le sue ricerche nell'ambito della fisica delle interazioni fondamentali all’interno della collaborazione ATLAS presso il Large Hadron Collider (LHC) del CERN. Nel 2021 con alcuni colleghi ha ideato la Scuola estiva “Officina di Narrazione della Scienza”, che tutt’ora dirige. Dal 2020 presiede la Commissione Terza Missione del Dipartimento di Fisica e Astronomia “A. Righi”.

Paola Focardi – Ricercatrice presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia “A. Righi” dell’Università di Bologna, è docente di “Storia dell’Astronomia” e di “Tecniche di analisi dei dati astronomici”. Referente scientifica del Museo della Specola del Sistema Museale di Ateneo dell'Università di Bologna, ha collaborato a grandi progetti internazionali di astronomia extragalattica e si occupa attivamente di divulgazione.