Una stazione di posta sulla Luna

Il 21 luglio del 1969 il lander Eagle dell'Apollo 11 depositava sulla Luna due astronauti: un trionfo che, dopo tante sconfitte e umiliazioni, compensava otto anni di sforzi degli americani per pareggiare i conti coi rivali sovietici. Il guanto della sfida ai "rossi" era stato lanciato nel 1961 dal neopresidente Kennedy con un celebre discorso che possiamo riassumere così: entro il decennio andremo sulla Luna per mostrare al mondo di che pasta siamo fatti. Si trattò in effetti di una mossa azzardata per risollevare il morale dell'America e riaffermarne il peso in tempi di guerra fredda, che l'agguato di Dallas trasformò in un impegno morale. Così, grazie anche al "riciclaggio" di un genio nazista, Wernher von Braun, Armstrong e Aldrin poterono calpestare davvero il suolo lunare al suono di "Fly me to the moon", cantata da Frank Sinatra. Seguirono altre cinque missioni Apollo coronate da successo, sino all'ultima del dicembre 1972. Poi sui viaggi verso la Luna calò progressivamente il silenzio, per mancanza di motivazioni. Nessuno aveva interesse a proseguire in un'impresa assai onerosa e ormai con pochi ritorni: non i russi, che avevano perso la partita, e neppure gli "yankee", impegnati a colmare il distacco coi sovietici nella realizzazione d'una stazione spaziale. L'opinione pubblica americana, poi, scemato l'iniziale entusiasmo e cresciuta la preoccupazione per l'impennata del prezzo dei carburanti (crisi del 1973) e per gli esiti della controversa guerra in Vietnam, cominciava a fare i conti in tasca alla NASA.
Vent'anni dopo il volo dell'Apollo 11, George Bush padre chiese inutilmente al Congresso le risorse per riportare l'uomo sulla Luna, questa volta con l’intento di stabilirvi una base permanente. L'idea venne riproposta con successo, quindici anni dopo, dal figlio George W. nell'ambito di un più ambizioso obiettivo, una missione umana su Marte. Il target era di riagguantare la Luna nel 2020, ma il Programma Constellation venne cancellato da Barack Obama nel 2010 per questioni tecniche e di budget. Passarono altri 7 anni e l'Amministrazione Trump, confermando le risorse assegnate ai progetti spaziali della NASA, fissò l'obiettivo dell’Ente in "un programma di esplorazione innovativo e sostenibile con partner commerciali e internazionali per consentire l'espansione umana attraverso il Sistema Solare e per riportare sulla Terra nuove conoscenze e opportunità"; e nel 2019, il Vicepresidente Pence annunciò il lancio del Programma Artemis, nome della gemella di Apollo e dea della Luna, inteso a mettere le basi, con un nuovo sbarco nel 2024, per una presenza autosufficiente dell'uomo sul satellite della Terra. Al fine di contenere i costi venne deciso di unificare nel gigantesco Space Launch System i due vettori Ares I and Ares V del programma Constellation, concepiti per trasportare rispettivamente astronauti e merci, e di adottare come modulo lunare la navetta Orion, anch'essa sviluppata in Constellation.
Come già il programma Apollo, anche Artemis è stato strutturato per raggiungere l'obiettivo per gradi, tramite missioni di complessità crescente. La prima, il cui lancio è già stato rinviato più volte per problemi tecnici e meteorologici, dovrebbe prendere il via dopo metà ottobre con un equipaggio di fantocci imbottiti di sensori e con il compito di raggiungere la Luna e riportare indietro sano e salvo il modulo di comando: un collaudo dell'hardware per preparare l’allunaggio di astronauti in carne e ossa e di attrezzature per il primo stanziamento umano sul satellite della Terra. La strategia adottata per Artemis I ha qualche analogia con quella ideata quasi un secolo fa dall'ucraino Jurij Kondratjuk: una prima tappa in orbita terrestre bassa da cui avviare il trasferimento della sonda alla Luna. Giunta sull'obiettivo, grazie a un "assist" gravitazionale la navicella verrà immessa su un'orbita lunare retrograda allungata, così da consentire una maggiore stabilità con una ridotta spesa di carburante. Se tutto andrà come da copione, Artemis riprenderà la via di casa chiedendo nuovamente aiuto alla gravità lunare. Un totale di tre settimane di un viaggio che dovrebbe concludersi, come di prassi, con un tuffo nel Pacifico. Incrociamo le dita.
Si stima che il progetto Artemis verrà a costare quasi 100 miliardi di dollari. Una somma enorme che, al di là di un palese interesse militare e di una calcolata promozione dell'immagine dell'America, si giustifica come un sacrificio consumato alla spinta di Ulisse, un investimento per permettere a società private di costruire un'economia lunare e un primo passo per la conquista di Marte. Si può pensare che Artemis rappresenti idealmente l'avvio di una stagione nuova nella millenaria storia dell'homo sapiens? Forse sì. Di certo, col suo fulgore essa rende ancora più evidente l'insensatezza di alcuni "ciclici" comportamenti dell'uomo sulla Terra.
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