Svante Pääbo e la paleogenomica per lo studio dell'evoluzione umana

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 C. Tuniz    30-11-2022     Leggi in PDF
Photo attribution: The Royal Society. Credits: The Nobel Foundation, © Nobel Media.

C'era una volta un luogo di incontro fra esseri diversamente umani: la caverna di Denisova, alle pendici dei monti Altai (in Siberia).

Verso la fine del Pleistocene, in un "bar di Guerre Stellari" come questo, noi scuri e slanciati Sapiens africani, dalla testa tonda e dal volto aggraziato ed espressivo, avevamo incontri molto ravvicinati con altre specie intelligenti, come i pallidi Neanderthal eurasiatici, dal corpo più robusto, con arcate sopraciliari prominenti, fronte spiovente e cranio allungato all'indietro. Nella caverna siberiana, oltre a resti di Neanderthal, sono stati trovati una falange del dito mignolo e dei denti di una misteriosa donna asiatica di una nuova specie, i Denisoviani, e un frammento del femore di una donna ibrida, con padre Denisoviano e madre Neanderthal.

Sono tutte cose che sappiamo grazie a Svante Pääbo, vincitore del Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina del 2022, che ha inventato la "paleogenomica", una disciplina che ci rivela questa e altre sorprendenti storie del nostro passato profondo. Nel 2010, il gruppo da lui diretto al Max Planck Institute for Human Evolution di Lipsia era riuscito a identificare la Denisoviana senza volto solo con analisi genetiche, sequenziandone il genoma in un piccolo frammento d'osso. Nello stesso anno, Pääbo aveva effettuato anche il primo sequenziamento del genoma nucleare di un Neanderthal. Questi risultati sono il coronamento di decenni di sue ricerche iniziate con l'analisi di una mummia egizia e poi continuate con quella di Ötzi e di altri resti umani che retrocedevano fino a 450.000 anni fa. Il DNA umano antico è difficile da trattare in quanto spesso degradato da funghi e batteri. Fortunatamente, lo scienziato ha potuto contare sulle tecniche di sequenziamento di ultima generazione e sulla disponibilità di sistemi informatici capaci di elaborare i Big Data genetici.

I confronti del nostro genoma con quello dei Neanderthal e dei Denisoviani non solo rivela una ibridazione degli attuali Sapiens di Eurasia e Oceania con queste due specie, ma fornisce ulteriori informazioni. I frammenti di DNA ereditati dai Neanderthal sono infatti associati alla nostra predisposizione al diabete, al morbo di Crohn, al lupus, alla cirrosi epatica e agli effetti più gravi del Covid-19. Ma ci sono stati anche effetti positivi, che accelerarono l'adattamento dei nostri antenati agli ambienti glaciali dell'Eurasia. Questi però sono controproducenti nel mondo attuale, caratterizzato da minori rischi di sopravvivenza nell’ambiente naturale e maggiori rischi legati alla nostra socialità e a uno stile di vita più sedentario. Per i Neanderthal, comunque, lo scambio genetico con noi sembra essere stato fatale già allora.

La paleogenomica ci permette di studiare anche le migrazioni dei Sapiens del passato profondo e gli incontri avvenuti tra loro. Questo ci aiuta a capire meglio chi siamo, e che posto occupiamo in natura in quanto organismo sociale, un corpo collettivo emerso nell'ultima era glaciale e cresciuto a dismisura fino a formare un superorganismo con effetti devastanti sul nostro pianeta. Non si tratta di una cosa da poco, in un periodo di crisi globali quale quello che stiamo attraversando.


Claudio Tuniz – Scienziato dell'Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste, è editor-in-chief della rivista Archaeological and Anthropological Sciences, Springer. Ha pubblicato le sue ricerche sull’uso di metodi fisici in paleoantropologia e archeologia su diverse riviste internazionali. Ha inoltre pubblicato vari saggi a carattere divulgativo, tra cui "La scimmia vestita" (Carocci, 2019) e "From apes to cyborgs" (Springer, 2020), con Patrizia Tiberi Vipraio.