Il "capitale scientifico"

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 A. Marino    31-01-2023     Leggi in PDF
Il kit Light BLOX presentato agli studenti del progetto “For the Love of Children” (FLOC) di Washington durante una attività della OPTICA Foundation.

Nella routine di una tipica carriera scientifica, spesso ci si ferma a chiedersi perché si stia facendo quello che si sta facendo. Accade davanti a un esperimento, così come durante le fatiche di un evento di divulgazione. Mentre la riposta è immediata nel primo caso, lo è meno per il secondo. Potrebbe aiutarci a trovare la risposta la teoria del "capitale scientifico" proposta da Louise Archer, professoressa di Sociologia dell'Educazione all'University College London, nel Regno Unito, che da anni si occupa di studiare le disuguaglianze formative dei giovani nelle discipline STEM, e dai suoi collaboratori.

Il loro lavoro parte da quello del sociologo francese Pierre Bourdieu, che negli anni '70-'80 propose di ampliare il concetto di capitale proposto da Karl Marx. Anche Bourdieu identifica come capitale qualsiasi tipo di risorsa che conferisca vantaggi a chi la possiede. Ma a differenza della teoria neoclassica e marxiana, egli ritiene che il capitale non sia esclusivamente di tipo economico. Questo perché gli individui cercano di accumulare diversi tipi di risorse, alle quali il sociologo francese associa quattro diversi tipi di capitale: il "capitale economico", ovvero le risorse finanziarie e materiali a disposizione di un individuo; il "capitale sociale", legato alle relazioni e alle reti interpersonali in cui si colloca l'individuo; il "capitale simbolico", da lui definito anche come "habitus", legato all'atto di riconoscimento o meno da parte delle altre persone (concetto fortemente legato a quello di classe sociale); e infine il "capitale culturale", ovvero le conoscenze e competenze dell'individuo. In particolare, Pierre Bourdieu distingue il capitale culturale in tre tipi: il "capitale culturale incorporato", interiorizzato col tempo e che si manifesta con atteggiamenti innati e attitudinali, il "capitale culturale oggettivato", formato dai beni materiali posseduti e trasmissibili, e infine il "capitale culturale istituzionalizzato", ovvero l'insieme dei titoli di studio.

Il lavoro della Archer e collaboratori estende quello di Bourdieu all'ambito scientifico, definendo il "capitale scientifico" dell'individuo come l'insieme di tutte le risorse legate alla scienza che l'individuo possiede. Anche in questo caso si fa riferimento alle tre tipologie introdotte da Bourdieu: ovvero il capitale culturale (conoscenza, comprensione, titoli e qualifiche), il capitale sociale (appartenenza a gruppi, contatti sociali, reti di relazioni) e l'habitus (disposizioni sociali e attitudine). La loro ricerca ha mostrato come sia molto più probabile che un ragazzo sviluppi una identità scientifica quando il suo capitale scientifico viene valorizzato e sfruttato in un contesto formativo. Conoscere persone che fanno un lavoro legato alla scienza, avere familiari che parlano di scienza e ti incoraggiano a continuare su questo percorso, lavorare con kit scientifici (pensate a giochi a tutti noti come il "Piccolo Chimico"), leggere libri scientifici o anche fantascientifici come quelli di Asimov, visitare un museo scientifico o un festival della scienza, sono tutti fattori che influenzano e accrescono il capitale scientifico dell'individuo.

Il gruppo inglese utilizza il tema del capitale scientifico per proporre un cambiamento nella pratica didattica che permette ai docenti di rendere l’insegnamento delle scienze avvincente e inclusivo, fornendo una prospettiva di coinvolgimento anche a ragazzi e ragazze che per estrazione sociale e culturale non avrebbero basi solide in termini di capitale scientifico. Ma questo tema allarga in qualche modo anche la visione delle attività di divulgazione, di networking e di promozione della scienza. Perché il fine non è più semplicemente aumentare la consapevolezza dell'importanza della scienza o il numero di ragazzi e ragazze che scelgono una professione scientifica, ma fornire strumenti e opportunità che rafforzino il capitale scientifico di tutti gli individui, indipendentemente dalle loro scelte future: la terza missione diventa quindi anche uno strumento di equità culturale.


Antigone Marino – Ricercatrice presso l'Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti del CNR, presso il Dipartimento di Fisica dell'Università di Napoli Federico II, dove coordina le attività del laboratorio di Ottica della Soft Matter. È Consigliere della SIF, Direttore del Board of Directors della OPTICA Foundation, vice presidente dell'Italian IEEE Photonics Society Chapter ed editor di diverse riviste.