La nuova vita dei fotomoltiplicatori al silicio (SiPM)

I SiPM (Silicon PhotoMultipliers) sono sensori di luce altamente sensibili utilizzati in una vasta gamma di applicazioni, dalla fisica medica alla fisica delle particelle fino a sistemi tipo LIDAR per autovetture. Sono costituiti da una matrice di pixel di silicio, ognuno dei quali funge da fotodiodo, che può rilevare il passaggio di fotoni.
La capacità dei sensori SiPM di rilevare anche un singolo fotone li rende particolarmente preziosi in applicazioni che richiedono una sensibilità estrema. Inoltre, grazie alla loro eccellente risoluzione temporale, i SiPM trovano ampio impiego anche in applicazioni di misura del tempo di volo (TOF). Negli ultimi anni, questi rivelatori hanno gradualmente sostituito i classici fotomoltiplicatori, grazie ai loro costi ridotti, alla loro insensibilità ai campi magnetici e alla loro struttura più compatta.
Tuttavia, l'utilizzo dei sensori SiPM presenta alcune sfide per quanto riguarda la loro applicazione in determinati ambiti. Infatti, per funzionare correttamente, questi sensori richiedono un generatore di fotoni. Se si riuscisse a utilizzarli come rivelatori diretti di particelle cariche, come tracciatori, si aprirebbero le porte a una serie di ulteriori applicazioni. Inoltre, uno dei principali problemi dei SiPM è la loro resistenza alla radiazione, che in molti contesti non soddisfa le esigenze degli esperimenti.
Fotografia del SiPM e della resina usata come protezione. Nella figura sono anche indicate le dimensioni dello strato di protezione e del sensore stesso.
Il limite di resistenza alla radiazione dei sensori SiPM è dovuto al rumore intrinseco di questi dispositivi, che tende a peggiorare all'aumentare del livello di radiazione. Tuttavia, recenti studi hanno trovato un modo per aggirare questo problema utilizzando processi di annealing. In pratica, questi rivelatori possono essere danneggiati da una dose di radiazioni, ma grazie a particolari procedure in loco che permettono un drastico aumento della loro temperatura, riescono a recuperare gran parte delle loro capacità e essere nuovamente pronti a rilevare altre particelle.
Per quanto riguarda l'efficacia dei sensori SiPM come tracciatori, sempre recentemente sono stati ottenuti risultati molto promettenti. In particolare, è stato osservato un segnale nettamente superiore a quanto atteso dal passaggio della particella. Questo effetto inaspettato è stato studiato in dettaglio per identificarne la causa e si è scoperto che il sottile strato di resina collocato sopra i SiPM, che svolge una funzione di protezione, quando attraversato da particelle cariche con un'energia sufficiente produce fotoni per effetto Cherenkov, fotoni che vengono poi rilevati dal sensore. Questa scoperta ha importanti conseguenze, in quanto non solo rende il sensore a prova di rumore, ma consente anche di raggiungere precisioni temporali dell'ordine dei 20 ps ed efficienze di rivelazione vicine al 100% (molto superiori rispetto a quella per la rivelazione di fotoni, solitamente non superiore al ~50%).
Un SiPM siffatto, unito a un'aumentata resistenza alla radiazione, aprirebbe la strada per trasformare il SiPM da "semplice" rivelatore di fotoni a rivelatore anche di particelle cariche.
Grazie ai nuovi studi e alle tecniche di costruzione in continua evoluzione, si stanno quindi aprendo nuove opportunità di applicazione dei SiPM: nello spazio per rivelatori compatti con piani sensibili alla direzione che consentirebbero misure di tracce e di tempi di volo, oppure per rivelatori di tipo RICH (Ring Imaging Cherenkov). Sarebbe quindi possibile combinare le loro capacità di fotosensore con quelle di tracciatore e TOF, ottenendo due tipologie di rivelatori in un unico dispositivo.
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