Le buone idee non invecchiano: piccoli pezzi per grandi telescopi

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 P. Caraveo    21-12-2018     Leggi in PDF

Per studiare le prime sorgenti che si sono accese nell'Universo, così come i deboli pianeti che orbitano intorno a stelle infinitamente più brillanti di loro, gli astronomi hanno bisogno di telescopi sempre più grandi.

Il primo super telescopio fu il leggendario 5 m di Monte Palomar. Era, allo stesso tempo, l'apice e la fine della tecnologia basata sull'uso di specchi monolitici molto spessi, rigidi e pesantissimi, difficilmente utilizzabile per specchi più grandi, in quanto il loro peso diventava ingestibile dalla struttura meccanica dei telescopi.

Per superare il problema, venne rivoluzionata la tecnologia di fabbricazione e si arrivò a costruire specchi sottili e plastici, la cui forma ottimale viene assicurata da un sistema a controllo attivo con uno o più computer che fanno muovere dei piccoli pistoni che ottimizzano la forma dello specchio. Tuttavia, anche gli specchi sottili non possono essere molto più grandi di 8 metri (le macchine per costruirli sono mostruose e il trasporto è un incubo). Per costruire specchi più grandi è stato riscoperto l'approccio basato sugli specchi segmentati, più economici, più facili da gestire e capaci di raggiungere dimensioni incredibili.

L'idea, che ha la semplicità del genio, è stata proposta negli anni '30 da un astronomo italiano: Guido Horn d'Arturo, direttore dell'Osservatorio di Bologna, che inventò gli specchi a tasselli. Iniziò con un prototipo con tasselli di forma trapezoidale, poi passò alla forma esagonale. Una scelta geometrica vincente, dal momento che sono esagonali i 796 tasselli da 1,4 m di diametro che comporranno lo specchio da 39 m di diametro dell'Extremely Large Telescope dell'ESO, il campione assoluto dei telescopi ottici di nuova generazione. La possibilità di controllare attivamente la forma di ciascun segmento, perché l'intero specchio abbia sempre la forma giusta, insieme alla tecnologia adattiva, che corregge per la turbolenza atmosferica, garantiscono ottime proprietà ottiche.

Queste possibilità non c'erano ai tempi di Guido Horn D'Arturo, ma è bene ricordare che è stato lui, sconosciuto ai più, ad avere avuto l'idea vincente. È bello constatare che le buone idee non invecchiano. Magari vengono accantonate per aspettare il momento giusto, che può venire decenni dopo la proposta originale.

Adesso viviamo nell'epoca dei telescopi segmentati che, oltre a essere utilizzati per gli osservatori ottici, sono molto utilizzati anche per l'astronomia gamma da terra, che rivela i fotoni di alta energia grazie all'effetto Čerenkov, il brevissimo lampo di luce bluastra prodotto dalle particelle originate dall'interazione dei fotoni gamma con l'atmosfera.

Per questo l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e la Società Astronomica Italiana hanno deciso di dedicare a Guido Horn d'Arturo il più grande telescopio segmentato operativo in Italia, con uno specchio primario del diametro di 4 m formato da 16 tasselli esagonali. Si tratta del telescopio ASTRI, il prototipo di quello che sarà il contributo INAF al Cherenkov Telescope Array, il prossimo grande osservatorio gamma.

È un nuovo tipo di astronomia che non esisteva ai tempi di Guido Horn d'Arturo, tuttavia ci auguriamo che questo gesto contribuisca a togliere il velo dell'oblio su un primato italiano dimenticato.