Il neo di Galileo Galilei?

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 C. Tuniz    31-01-2019     Leggi in PDF

Jacopo Robusti detto Tintoretto, Ritratto d'uomo barbato, Padova, Musei Civici, Museo d'arte Medievale e Moderna, inv. 772 a sx e a dx Mappa XFR del mercurio (vermiglio).

"Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che 'l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna". Galileo Galilei (1564-1642)

I Musei Civici agli Eremitani di Padova custodiscono un "Ritratto di un Uomo Barbuto". Inizialmente attribuito alla scuola di Tiziano, più recentemente si è optato per il Tintoretto. Dal confronto con altri quadri di uomini barbuti eseguiti da quest'ultimo, si è stimato che potrebbe essere un'opera giovanile realizzata verso la metà del XVI secolo. Sono poi emerse nuove ipotesi sull'autore, ma anche sull'identità dell'Uomo Barbuto. La prima questione rimane irrisolta. Per la seconda, ci sono dei nuovi indizi.

Risale alla fine del '700 la prima biografia documentata di Galileo Galilei, che fornisce anche un resoconto dei suoi molteplici ritratti, eseguiti al naturale dai grandi pittori del tempo. Negli ultimi secoli, purtroppo, molti di essi sono andati perduti. Tra questi un quadro del maestro toscano Santi di Tito, dipinto nel 1602, quando Galilei aveva 38 anni: il primo ritratto per il quale abbiamo una documentazione precisa. Allora Galileo Galilei era un rispettabile professore dell'Università di Padova, non ancora lo scienziato di fama internazionale degli anni successivi. A Paolo Molaro, ricercatore dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, venne l'idea di collegare il ritratto perduto di Santi di Tito con l'Uomo Barbuto degli Eremitani. Ma come era possibile accertarlo? Forse con uno studio cronologico ?

Con una datazione al radiocarbonio sarebbe stato possibile discriminare, in linea di principio, tra un dipinto effettuato nel periodo 1549-1555 e uno risalente al 1602, e quindi distinguere fra un Tintoretto e un Santi di Tito. Sfortunatamente, la curva di calibrazione dendrocronologica non è monotona durante quest'epoca. L'ampiezza dell'errore sulle date finali sarebbe infatti di quasi un secolo.

Esiste però un'alternativa: e cioè fare un'immagine ai raggi X degli elementi chimici che caratterizzano i pigmenti usati dai diversi pittori. E qui entra in gioco Paolo Romano, scienziato dell'IBAM-CNR di Catania, esperto di fama internazionale nello sviluppo e applicazione dell'imaging con la fluorescenza ai raggi X in tecnologia real-time. Il suo strumento realizzato in una collaborazione con i laboratori LNS-INFN fu trasportato agli Eremitani di Padova e montato davanti al quadro dell'Uomo Barbuto. Bombardando sequenzialmente tutta la superficie del quadro con un sottile fascio di fotoni (fino a 50 micron) emergono le mappe dei diversi elementi chimici.

Anche se l'autore resta indeterminato, a causa della mancanza di comparazioni con altri quadri dei due pittori in questione, emergono indizi nascosti sull'uomo del ritratto. La mappatura del ferro e del rame ci dice che, contrariamente a quanto appare, aveva capelli rossastri e occhi chiari, proprio come Galileo Galilei. Quella del mercurio indica che si usò il vermiglio (solfuro di mercurio) per dipingere le labbra e le ombreggiature della pelle. E qui emerge un dettaglio prima invisibile: un'alta concentrazione del pigmento al mercurio sotto l'occhio sinistro. Galilei aveva sviluppato un neo proprio in quella posizione, come si può notare in molti altri ritratti. Con un attento restauro del dipinto si potrebbe confermare questo dettaglio e quindi l’identità del ritratto. "Una cosa leggiera", avrebbe detto Galilei, ma che forse contribuisce a "conseguir verità".